• La proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici globali.
  • Parenti, Fabio Massimo

Subject

  • Cina, energia, capitalismo, regione, stati, infrastrutture
  • POLITICHE SVILUP.GEST.TERRITORIO
  • M-GGR/02 GEOGRAFIA ECONOMICO-POLITICA

Description

  • 2006/2007
  • LA PROIEZIONE ENERGETICA CINESE NEGLI SCENARI CAPITALISTICI GLOBALI Dottorando: Dr. Fabio Massimo Parenti Relatore: Prof.ssa MARIA PAOLA PAGNINI RIASSUNTO L’analisi dei cambiamenti economico-politici al livello globale ha costituito una sfida costante alla quale gli scienziati sociali sono stati chiamati a rispondere. Ciò ha portato, nel corso del tempo, allo sviluppo di molteplici approcci interpretativi, capaci di volta in volta di fornire modelli esplicativi più o meno efficaci. L’emergere della cosiddetta globalizzazione ha poi accelerato, in una certa misura, il bisogno di proseguire tali studi, che malgrado la loro diversità sono confluiti il più delle volte nell’ambito disciplinare delle “Relazioni Internazionali” (RI). La tesi sulla proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici globali tenta di entrare in questo ampio dibattito, partendo innanzitutto dall’adesione alle analisi più accreditate sui principali cambiamenti geoeconomici e geopolitici in corso - la ricomparsa dell’Asia al centro del sistema produttivo/commerciale mondiale, il declino dell’egemonia statunitense e l’emerge della Cina come nuovo centro di accumulazione capitalistica3 - e nel contempo dalla dissociazione da quelle sulla riduzione dell’importanza dello Stato-nazione e sull’emergere di una nuova “guerra fredda”. La crescente integrazione cinese al modo di produzione capitalistico svela sia la centralità dello Stato-nazione dietro i nuovi processi di accumulazione asiatici, sia le crescenti interdipendenze economico-finanziarie fra gli USA e la Cina, sia infine l’emergere di un modello di sviluppo cinese sui generis, che abbiamo definito del free State (in confronto a quello del free trade britannico e del free enterprises statunitense). Le strategie energetiche cinesi, incentrate su una serie di accordi bi/multilaterali, regionali ed intersocietari, rendono conto dell’ampiezza dei processi di accumulazione capitalistica in alcuni poli asiatici, della spinta verso l’integrazione macroregionale e delle conseguenze geopolitiche prodotte da tali movimenti. Ricordandoci, in ultima istanza, la dipendenza delle dinamiche di cambiamento dalla dimensione energetico-materiale. Sottolineando dapprima i limiti interpretativi delle RI, in particolare delle analisi più influenti dell’approccio realista (Huntington, 1996; Bernstein e Munro, 1997; Mearsheimer, 2001, e altri), la tesi proposta rivendica la centralità dello sguardo geografico nella comprensione della natura dei cambiamenti in fieri, nonché l’adeguatezza degli strumenti analitici della disciplina geografica (l’articolazione scalare degli spazi umani) nella interpretazione della dinamica capitalistica globale (Harvey) e dei correlati sviluppi geopolitici. Il ricorso a un’analisi energetica e interscalare, che ha messo al centro dell’attenzione la regione mobile e l’infrastruttura, ha consentito di svelare la parziale trasformazione degli Stati nazione in “entità regionali mobili” (imbrigliate in un sistema sempre più interdipendente e competitivo), nonché la capacità degli Stati stessi di produrre regionalità. Da questa angolazione, il cambiamento degli equilibri del sistema internazionale è stato desunto proprio a partire dall’analisi degli sviluppi che occorrono nelle principali regioni strategiche (geo-energetico-minerarie) e dalla costruzione di sistemi di controllo economico-finanziario, direttamente influenzati dalle politiche dei principali attori statuali. Nello specifico, la tesi ha cercato di rispondere alla seguente domanda: perché la rivalità sul controllo delle risorse petrolifere (USA/Cina) si sta ponendo in forme nuove rispetto al passato? In condizioni geoeconomiche in profondo mutamento, e nell’ambito di una competizione capitalistica Ovest/Est, la Cina si moverebbe con approccio diverso dagli USA, inserendosi nei processi di globalizzazione con una diversa soggettività politica e un compromesso sui generis fra lo Stato e gli interessi economici capitalistici. Il Beijing consensus è il frutto di una strategia alternativa a quella degli USA (basata sul sostegno alle private corporations e ai loro interessi immediati), che possiamo riassumere in tre elementi distintivi: l’uso prevalente delle State-owned enterprises per scopi strategici; la costruzione di rapporti di lungo periodo, tramite investimenti in perdita o con ritorni minimi; e infine, ma non meno importante, l’attenta elaborazione di politiche macroeconomiche (monetarie, fiscali e industriali) tese a ridurre le ripercussioni negative indotte da un eccessivo affidamento agli aggiustamenti di mercato. Mentre l’approccio unilaterale degli USA sembra essere il risultato di un progressivo declino di legittimità e consenso (Washington consensus), l’azioni cinese nel mondo non ha come obiettivo l’egemonia, ma il consolidamento di uno status di grande potenza, garante di un ordine mondiale multipolare. Una strategia che è coerente con alcuni principi guida scritti nella costituzione del 1982, e che riguardano il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, la non aggressione, la non ingerenza negli affari interni, l’eguaglianza e la coesistenza pacifica. Nella sostanza, la Cina si oppone all’imperialismo e all’egemonismo e si impegna a sostenere le nazioni oppresse, la pace e il progresso nel mondo (Rinella, 2006). Tuttavia, non è l’ordine unipolare in sé che viene contestato, quanto piuttosto la posizione egemonica degli USA nei confronti della Cina, la quale è preoccupata degli effetti che l’unilateralismo statunitense possa avere sulla stabilità di regioni del mondo da cui dipende il suo sviluppo (Foot, 2006). L’obiettivo di costruire un mondo multipolare si traduce in un’estesa strategia di cooperazione bilaterale e regionale con quegli Stati asiatici, come la Russia e l’Iran, che condividono lo stesso bisogno cinese di rimarginare gli squilibri prodotti dall’unilateralismo statunitense (Domenach, 2003; Garver, 2006). Inoltre, l’emergere di un’architettura energetica asiatica più indipendente dall’Occidente, nonché di un sistema economico-finanziario multipolare, dipende anche dal ruolo ricoperto dall’India e da altri Stati asiatici (tra cui soprattutto il Pakistan, le Repubbliche Centro-Asiatiche, l’Iran e l’Arabia Saudita), le cui interdipendenze geoeconomiche e politiche con la Cina stanno aumentando sia nell’ambito di rapporti bilaterali, sia nella sfera d’influenza della Shanghai Cooperation Organization (SCO) (cioè uno spazio regionale riconosciuto de jure e in continua espansione). L’evoluzione di questa organizzazione va avanti e si rafforza sul piano di accordi economici ed energetici, che sono finalizzati, in ultima istanza, a costruire un tessuto di infrastrutture capaci di “vestire” la macroregione asiatica. Le ambizioni della Cina sono concretamente sostenute dalla sua performance economica, molto significativa sul piano quantitativo e qualitativo, dal connesso sviluppo di tecnologia militare (missili, satelliti, nucleare etc.) e dalla sua abilità diplomatica, che in ultima istanza si rifà ai principi originari dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Tutte carte da grande potenza che gli consentono di giocare un ruolo sempre più importante sull’arena internazionale, in cui l’emergere di una nuova Guerra Fredda non sembra essere un esito compatibile con i nuovi sistemi di organizzazione economico-politica capitalistica al livello mondiale. Se lo sviluppo cinese e statunitense dipende in modo crescente da ampi sistemi di approvvigionamento energetico che possono entrare in competizione, entrambi i Paesi sono sempre più legati sul piano economico-finanziario.
  • XX Ciclo

Date

  • 2008-04-23T11:14:29Z
  • 2008-04-23T11:14:29Z
  • 2008-03-28
  • 1974

Type

  • Doctoral Thesis

Format

  • application/pdf

Identifier