• Immagini della luce nelle Epistulae di Seneca.
  • Zudini, Giulia

Subject

  • seneca
  • immagini
  • SCIENZE DELL'ANTICHITA'
  • L-FIL-LET/04 LINGUA E LETTERATURA LATINA

Description

  • 2006/2007
  • Studiare gli ambiti metaforici cui Seneca attinge con maggior frequenza nella sua opera filosofica è un mezzo per avvicinare molti aspetti della sua cultura stilistico-retorica e, allo stesso tempo, del suo mondo ideologico e psicologico. Oltre ai realia – alle realtà sociali, politiche, materiali del mondo che lo circonda – l’immaginario di Seneca accoglie e contribuisce a convogliare soprattutto realtà culturali: esse si traducono in immagini che rivelano le convergenze tra la sua opera e quella di chi lo precedette. Tra esse rientra anche il motivo della luce che, per il suo carattere intuitivo, ‘assiomatico’ , si presta a convogliare nell’immaginario senecano una lunga tradizione di simbolismo letterario, filosofico, teologico. Per misurare l’originalità del trattamento senecano si tratterà di precisare innanzitutto in che modo egli disponga di tale eredità, valutando contemporaneamente gli effetti di quello scambio incessante che, nello sviluppo dell’immaginario, avviene tra gli elementi che giungono dall’ambiente circostante – sociale e culturale – e le pulsioni psicologiche e soggettive di chi se appropria, che tende ad assimilare questi elementi al proprio personale linguaggio letterario. La descrizione e l’analisi della fenomenologia delle immagini della luce in un testo filosofico, con le cui istanze proprie essa interagisce naturalmente, esige altresì che si individui in che misura e in quali forme si compenetrino immagine e concetto, ovvero l’aspetto retorico e l’aspetto propriamente logico-teoretico del testo. Un necessario presupposto per l’individuazione di tali rapporti è costituito, per le Epistulae morales, dalla definizione dell’atteggiamento che Seneca matura consapevolmente verso la funzione delle imagines all’interno del discorso filosofico, nonché verso il ruolo dell’immaginazione creatrice come autonoma facoltà dell’artista. Sebbene non sia attestata in Seneca una teoria della letteratura organicamente espressa, la coerenza del suo atteggiamento sul piano della dottrina estetica si radica in un costante riferimento al sistema di pensiero stoico, attraverso l’autorevolezza del quale Seneca reperisce una sorta di garanzia a priori del proprio impianto teorico. Così facendo, però, abbiamo visto che il filosofo si trova a fare i conti, in campo estetico, con la tradizione di scuola: la concezione stoica di un ideale di linguaggio trasparente, adatto a esprimere la verità del pensiero morale, imponeva la svalutazione delle istanze stilistiche e la loro subordinazione all’integrità dell’espressione. Seneca non si discosta mai esplicitamente da questa posizione di condanna dell’elemento stilistico-formale e quando prende in considerazione lo stile della predicazione filosofica lo fa sempre in relazione diretta al suo fine, che è di ammaestramento alla virtù e di esortazione a una condotta attivamente morale. Così, nella teoria senecana, anche l’uso delle immagini nella prosa filosofica è giustificato solo sulla base della funzione didattica che esse possono svolgere in tale contesto e dell’utilità pedagogica che ne deriva: ho cercato di mostrare come questo sia il tratto che spicca maggiormente nelle notazioni sulla letteratura e sullo stile presenti nelle Epistulae. Tuttavia, proprio la ricerca di un’eloquenza che, attraverso la bellezza e la ricercatezza delle espressioni, sappia dare risalto non a sé stessa bensì ai contenuti che mira a comunicare, permette parallelamente a Seneca di operare una rivalutazione degli aspetti stilistico-formali. Il filosofo sostiene con convinzione la necessità di un’admonitio che agisca psicagogicamente su chi ascolta, e concepisce l’uso di un linguaggio energico, che sappia farsi forte dei mezzi della persuasione al fine di rispecchiare e trasmettere la verità del contenuto filosofico. Quanto allo specifico uso delle immagini all’interno della prosa filosofica, abbiamo visto che esso è giustificato innanzitutto al fine di sopperire all’egestas linguae, ma soprattutto è concepito come un imprescindibile mezzo di sostegno della debolezza intellettiva: la principale funzione delle immagini per Seneca è appunto quella di demonstrare attraverso la loro concretezza e vividezza. Esse trovano pertanto il loro definitivo riscatto come strumenti utili al filosofo per mettere a fuoco problemi e argomentazioni, all’ascoltatore per appropriarsi i concetti con maggiore immediatezza. A questa concezione fa da pendant, nella concreta prassi stilistica di Seneca filosofo, un uso costante delle immagini. Quelle che sviluppano il motivo della luce trovano nel corpus delle Epistulae due principali ambiti di applicazione: la conoscenza e la virtus. La prima di queste associazioni, quella che assimila luce e conoscenza, è un risultato di quel ‘pensare per immagini’ che è all’origine stessa del linguaggio filosofico: ho ripercorso nella parte introduttiva di questo lavoro le idee che nella speculazione psicologico-estetica e nella cultura retorica disponibili a Seneca, avevano stabilito un nesso tra immaginazione e meditazione filosofica, e di concerto l’affinità tra il poeta e il filosofo, accomunati dalla capacità di ‘scorgere il simile’ attraverso le apparenze della varietà fenomenica. Nel poeta, secondo Aristotele, questa capacità è alla base dell’arte della metafora, ed è nativa, non insegnabile. A propria volta, il pensiero filosofico si svolge in origine attraverso metafore: così come si è visto, questo tipo di immagini traducono il pensiero astratto, per la prima volta, in contenuto sensibile. Le metafore divengono pertanto uno strumento naturale della predicazione filosofica. È il caso appunto della luce come metafora della conoscenza: la natura della luce come chiarezza che rende possibile il vedere e l’intuitiva associazione dell’atto conoscitivo all’atto della visione, dell’anima agli occhi, sono elementi esplorati dalla lunga tradizione retorica e filosofica che nella mia ricerca ho cercato di ripercorrere. Anche Seneca rientra in questa tradizione filosofica, che aveva avuto nei dialoghi di Platone – molto più che nell’elaborazione della scuola stoica – il suo momento centrale. Certo, nel caso di Seneca, il quale non è l’inventore del sistema filosofico che espone, la metafora della luce come conoscenza non conferisce ex novo una forma al pensiero, ma serve piuttosto a vivificarlo, ad animarlo, permettendo al filosofo di ripercorrerne i nessi secondo le proprie categorie mentali attraverso un apparato di immagini consolidate dalla tradizione. A loro volta, metafore poco evidenti o quasi completamente lessicalizzate, limitate a un solo verbo o sostantivo, si riattivano per mezzo dei procedimenti stilistici che Seneca mette in atto nella sua prosa filosofica. Sulla base dei testi presi in considerazione, mi sembra si possano individuare come segue: 1. Accumulazione di immagini dallo stesso campo figurativo al fine di rafforzarne l’evidentia, come nell’epistola 88, dove un complesso sistema di richiami collega i motivi della luce come conoscenza, dell’accecamento, dell’orientamento: insieme essi collaborano alla costruzione di un impianto metaforico coeso e coerente, che serve a guidare il lettore nello sviluppo dell’argomento. 2. Interazione del motivo della luce con motivi tratti da altri ambiti metaforici: nell’epistola 94 la complessa costellazione metaforica che si sviluppa intorno all’associazione vista fisica / vista interiore, è rafforzata dall’innesto del motivo tipicamente senecano della salute / malattia come condizioni morali. 3. Trapasso continuo dal piano connotativo a piano denotativo, come nell’epistola 48, dove la metafora dell’iter, che interagisce strettamente con quello della luce dell’orientamento morale, è anticipata dal riferimento di cornice al viaggio di Lucilio; l’immagine resta evidente al lettore funziona poi da Leitmotiv nello sviluppo dell’epistola. Per quanto riguarda l’applicazione del campo metaforico della luce al tema della virtus, l’analisi della fenomenologia presa in considerazione ci mostra una più complessa compenetrazione tra l’aspetto letterario e l’aspetto propriamente logico-teoretico. Ho operato nel mio studio una distinzione dei materiali essenzialmente tecnici o dossografici da quelli che propriamente letterari; sulla base di questo criterio mi sembra che il rapporto tra le immagini della luce e il contenuto filosofico si possa definire come segue: 1. Un primo tipo è costituito da metafore puramente ornamentali che, proprio perciò, non si fa carico di particolare significato dottrinale. È il caso della luce come attributo dell’eccellenza del sapiens: questo motivo, che è convenzionale già in Cicerone e che è presente nelle Epistulae in moltissime occorrenze, è stato citato a proposito di epist. 120,13, un’occorrenza che può essere ricollegata a una più estesa presenza dell’immaginario della luce nella medesima epistola. 2. Un secondo tipo, più significativo, è rappresentato da formulazione analogiche le cui implicazioni sono intese a contribuire alla determinazione del senso della dottrina enunciata. Tali metafore si possono distinguere a loro volta in due sottocategorie: a. vi sono analogie essenziali alla giustificazione della dottrina enunciata, come quella di epist. 31,2: Seneca riconduce il rapporto che intercorre tra bene e virtù ai precetti della fisica stoica in cui tale rapporto si radica, assimilando i processi invisibili dell’interiorità umana a quelli visibili del mondo naturale, e in particolare alla luce, fenomeno visibile per eccellenza. La mixtura lucis di cui hanno parte le cose luminose richiama la teoria della kra~siı tra lo pneu~ma e le parti del cosmo che esso compenetra, teoria che sul piano fisico fonda la dottrina etica della partecipazione delle cose buone al bene, ovvero la ratio divina che le compenetra. Un altro caso di questo tipo di occorrenze è quello di epist. 66,20, dove la grandezza assoluta della virtus in rapporto agli incommoda è assimilata alla potenza luminosa del sole: esso, con l’intensità della sua luce, rende impercettibile ogni fonte di luce minore. Anche qui l’analogia, perfettamente organica alla dottrina enunciata, funziona in base ai principi della fisica stoica che identificavano lo hJgemonikovn del cosmo nel sole. b. viceversa in altre analogie, sebbene si stabiliscano anch’esse sulla base di una stretta correlazione fra immagine e contenuto filosofico, prevale l’aspetto icastico. In questa sottocategoria ricadono i casi di epist. 92,5 e 17, dove l’intensità luminosa del sole è tertium comparationis comune a due similitudini, le quali però illustrano due rapporti diversi, quello tra virtus e commoda e quello tra virtus e incommoda: Seneca indulge in variazioni su uno stesso motivo il cui sviluppo, pur contribuendo alla determinazione di senso dell’insegnamento enunciato nell’epistola, mostra come l’equilibrio tra istanze teoretiche e istanze letterarie si sbilanci a favore delle seconde. 3. Un terzo tipo di immagini è il più caratteristico dell’usus senecano: è costituito dai casi in cui una metafora è adottata per rivitalizzare o per corroborare l’impatto di una teoria senza che ciò sia inteso a determinare la sostanza della teoria stessa. Anche in questo caso ho individuato due distinte applicazioni: a. talvolta Seneca introduce elementi e idee coerenti con la teoria presentata. È il caso di epist. 21,2 dove la concezione stoica dell’autosufficienza della virtus prende corpo in una similitudine che gioca sul contrasto tra due diverse manifestazioni luminose: la lux rappresenta la vita ritirata nel godimento del sicuro possesso della virtus, che dipende dall’autonoma volontà e intenzione dell’individuo, appunto come una cosa che abbia in sé la fonte della propria luminosità. A essa si oppone lo splendor riflesso, cui è associata la vita pubblica, la quale deriva il suo valore da beni e condizioni che non dipendono direttamente dalla condotta individuale e che sono pertanto incerti ed effimeri; b. in altri casi attraverso l’immagine Seneca introduce elementi e idee in parte fuorvianti rispetto alla sostanza della teoria enunciata. Un esempio macroscopico di questo procedimento è costituito dalla similitudine solare in epist. 41: l’anima che alberga nell’uomo e lo rende partecipe della propria divina natura pur restando congiunta alla propria origine, è assimilata ai raggi del sole, che toccano la terra ma hanno la propria fonte nell’astro da cui sono emessi. L’immagine di matrice platonica sembra implicare una concezione psicologica ed escatologica dell’anima a sua volta non scevra da spunti platonici. L’immagine occupa dunque una posizione contraddittoria, che si spiega col fatto che Seneca attinge da fonti diverse elementi anche molto eterogenei tra loro, e li assimila in un organismo retorico che di ognuno di essi sa avvalersi ai fini dell’incisività della predicazione morale. Questa prassi è indizio di un atteggiamento non già eclettico o poco rigoroso, bensì aperto a recepire spunti significative dalle altre scuole e a integrarli in una cornice di pensiero che rimane fondamentalmente stoica. Naturalmente, in un autore letteratissimo come Seneca, ci sono momenti – forse l’epistola 41 si può considerare uno di questi – in cui l’immagine prende il sopravvento sul ragionamento che doveva illustrare o corroborare.
  • XX Ciclo
  • 1975

Date

  • 2008-05-08T10:55:08Z
  • 2008-05-08T10:55:08Z
  • 2008-04-17

Type

  • Doctoral Thesis

Format

  • application/pdf

Identifier