• Processi di apprendimento dell'assistente sociale della pratica professionale
  • Sinigaglia, Marilena

Subject

  • servizio sociale apprendimento pratica professionale processi abduttivi modellizzazione
  • SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELL'UOMO, DEL TERRITORIO E DELLA SOCIETA'
  • SPS/07 SOCIOLOGIA GENERALE

Description

  • 2009/2010
  • SINTESI DEL LAVORO DI TESI Processi di apprendimento dell’assistente sociale dalla pratica professionale Il confronto teorico in merito alle forme della conoscenza nell’ambito delle scienze sociali sta consolidando la consapevolezza della dinamicità e della circolarità del processo conoscitivo. In questo dibattito anche l’approfondimento del rapporto teoria-pratica, molto dibattuto nel servizio sociale in quanto disciplina orientata all’azione, si inserisce al fine di comprendere le ragioni dell'operatività ma anche di acquisire conoscenza e di valorizzare, in nome della pluralità dei saperi e dei fattori, la soggettività di ciascun interlocutore. Nella “società del rischio”, gli interrogativi delle scienze sociali rispetto al proprio ruolo, si intrecciano con la risonanza di fenomeni che si prestano a letture multidimensionali e multifattoriali. Allo stesso tempo, nella società individualizzata l’uomo parrebbe lasciato più libero ma in realtà questo concetto di libertà sarebbe da verificare e l’aspetto che emerge maggiormente è la solitudine. Giddens, nel porsi tra il punto di vista macro e quello dell’attore sociale, valorizza la riflessività come “chiave ermeneutica” per la quale “pensiero e azione si rifrangono costantemente l’uno sull’altro ”. Nella trattazione che segue cerco di ricostruire, da un punto di vista teorico, quelle che possono essere le forme di acquisizione dei saperi da parte degli assistenti sociali a partire dalla loro esperienza professionale. Nel primo capitolo, dopo aver sottolineato l’importanza per le discipline del servizio sociale di alimentare il rapporto virtuoso teoria-prassi-teoria, delineo lo sfondo del lavoro di ricerca che è dato dalla riflessione sulla pratica professionale dell’assistente sociale. Negli ultimi anni in Italia, ma non solo, si è assistito allo sviluppo di un pensiero riflessivo della pratica professionale, hanno trovato un’attenzione rinnovata i temi della riflessività dell’assistente sociale (Sicora 2005), dell’apprendimento dei professioni dai propri errori (Sicora, 2010), lo studio della percezione dell’oggetto del servizio sociale da parte degli assistenti sociali (Colaianni, 2004). Cerco quindi, da un punto di vista teorico, di ricostruire le modalità di acquisizione di conoscenza dalla realtà pratica riferendomi a contributi teorici elaborati in altri ambiti disciplinari: - il ruolo della conoscenza tacita - l’arte dell’ermeneutica - la rivoluzione narrativista - la riflessività. La profonda convinzione che ha accompagnato il lavoro di Polanyi sulla conoscenza tacita è che noi possiamo conoscere più di quello che possiamo esprimere, ad esempio nei processi d riconoscimento di una persona attraverso immagini del suo volto (ad es, identikit) riusciamo ad individuare dei particolari guardando le immagini, scegliendo un’immagine piuttosto che un’altra perché “integriamo i particolari anche senza identificarli”. L’esistenza di questa forma di comportamento extra-teoreotico è dimostrata da diverse situazioni quotidiane in cui l’essere umano è perfettamente in grado di mettere in campo efficaci (e abituali) competenze senza l’immediata possibilità di realizzare la loro spiegazione concettuale. In alcuni casi il bagaglio concettuale per la risoluzione dei problemi era già presente nella ‘memoria’, ma poi si è deteriorato ed era necessario riprodurlo-rigenerarlo; in altri casi il ‘bagaglio’ concettuale viene costruito per la prima volta come nei contesti creativi e nella scienza. In questo caso di conoscenza basata sull’azione le ipotesi sono inerenti ad ambiguità che vengono sviscerate fino alla loro articolazione in entità reali o immaginarie. L’autore giunge ad affermare che: “La mia ricerca mi ha condotto ad un’idea rinnovata della conoscenza umana, da cui sembra emergere una visione armoniosa del pensiero e dell’esistenza nel loro radicamento nell’universo ” . L’arte dell’ermeneutica, di Gadamer e Ricoeur, con la ricchezza dei temi che offre, dischiude la possibilità interpretative molto interessanti sia per la profonda tensione alla ricerca della verità come fine ultimo della conoscenza e che riconduce a frammenti di verità di sé stessi, sia per la proposta del circolo ermeneutico interpretativo che porta riflettere sul ruolo delle pre-comprensioni, degli impliciti professionali, sulle caratteristiche alle quali l’interpretazione dovrebbe tendere per evitare di riprodurre quello che il soggetto (interpretante) già conosce. Mi soffermo quindi sul pensiero narrativo, la sua portata euristica e le sue caratteristiche che presenta, con particolare riferimento al ragionamento analogico. Concludo il primo capitolo considerando i contributi relativi al pensiero pratico e alla riflessività come ambiti fecondi e molto sentiti nel servizio sociale. Il filo conduttore del secondo capitolo è rintracciabile in alcune proposte di risposta alle domande: “Che cosa impariamo dai problemi che affrontiamo? Come impariamo?”. Le recenti acquisizioni nell’ambito dell’apprendimento hanno messo in luce come le persone siano stimolate ad apprendere nell’affrontare situazioni problematiche. Ho colto questo spunto per indagare, in coerenza con l’obiettivo conoscitivo del disegno di ricerca, i processi di apprendimento ascrivibili a questo ambito. L’osservazione non basta: impariamo dalle strategie che poniamo in essere, dalle ipotesi che facciamo che si caratterizzano per essere provvisori ed incerti. L’importante non è tanto trovare la soluzione definitiva ma collegare problema-ipotesi e successivamente problema-schema generale che saranno poi sottoposti a nuove verifiche ed evoluzioni. Introduco quindi il concetto di abduzione a partire da Peirce. Il concetto di abduzione può essere posto alla base dei processi di apprendimento dove ‘tanti’ non si può generalizzare con ‘tutti’, che la formulazione scientifica in senso stretto richiederebbe. Spesso infatti i problemi sociali sui quali si trova ad intervenire l’assistente sociale, pur mantenendo elementi strutturali simili, presentano caratteristiche di complessità e originalità non riproducibili da una situazione ad un’altra. Ricorrendo ai processi abduttivi è possibile arrivare a costruire contesti di generalizzazione istituendo degli esiti provvisori e revocabili che consentono di elaborare degli ‘schemi generali’ riproducibili in situazioni diverse (trasferimento analogico). Peirce sostiene che tutta la conoscenza si inferisce e la conoscenza non è istantanea ma si sviluppa attraverso un processo e un’attività di comparazione che coinvolge diversi tipi di modelli in momenti differenti. Per Peirce le percezioni e le sensazioni partecipano alla formulazione delle ipotesi: “Questa emozione –ad es. riferita a quella generata dall’ascolto musicale- è essenzialmente la stessa cosa di un’inferenza ipotetica, e ogni ipotetica inferenza include la sua formazione come un’emozione”. Per Peirce queste attività sono inferenziali ma non verbali. Successivamente riprendo il concetto di abduzione proposto da Magnani (1998, 2000), filosofo italiano, che individua due significati generali del termine abduzione: 1. l’abduzione che genera ipotesi ‘plausibili’; 2. l’abduzione considerata come l’inferenza della migliore spiegazione possibile. Entrambe le inferenze (creative e selettive) sono ampliative perché le conoscenze che ne derivano superano le premesse. Se non c’è scelta tra varie ipotesi non c’è abduzione. Attraverso l’astrazione è possibile spiegare le evidenze e abdurre delle ipotesi (nell’induzione abbiamo il passaggio diretto dall’osservazione dei dati alle ipotesi senza generalizzare attraverso schemi o modelli). Si consideri ad esempio l’ambito medico: di fronte ad una situazione di patologia il medico sceglie all’interno di un set di plausibili ipotesi di diagnosi l’ipotesi che gli sembra più adatta, procede alla verifica induttiva sui dati dei pazienti (i dati attesi possono far richiedere nuovi dati al quelli osservati), astrae le evidenze cliniche da cui poi abduce delle ipotesi diagnostiche che possono esprimere conoscenze nuove. Riservo nel mio lavoro un’attenzione particolare all’immagine, nell’accezione proposta da Magnani, è una rappresentazione interna prodotta per recuperare informazioni dalla memoria. Egli ritiene che l’apprendimento visuale sia il maggior medium del pensiero, e si sviluppi attraverso il diverso uso dell’immagine nei processi di pensiero. Come possiamo rappresentare le immagini in questa attività? Magnani suggerisce di considerarle delle ‘quasi fotografie’ (quasi perché vi sono delle funzioni di adattamento della mente che modificano la riproduzione rispetto alla realtà). L’immagine si sviluppa a due livelli: spaziale (posizione dell’oggetto rispetto ad altri oggetti) e visivo. Nel terzo capitolo presento la ricerca empirica, l’obiettivo conoscitivo della ricerca era di conoscere alcuni processi di modellizzazione dell’esperienza professionale nel tentativo di cogliere aspetti specifici di servizio che connotassero la capacità di passare dell’esperienza pratica ad elaborazioni un po’ più “teoriche”, ovvero con un minimo grado di generalità. L’ipotesi di ricerca è stata che gli assistenti sociali nell’affrontare le difficoltà e i problemi presentati dalle persone ‘assistite’ elaborino delle strategie di analisi ed elaborazione che presentano elementi significativi (schemi, criteri) di connessione tra pratica e teoria. Nella ricerca mi sono riferita a categorie, ipotesi, “prodotti della conoscenza pratica” raccontati sottoforma di riflessioni, idee, convinzioni degli assistenti sociali intervistati. Per condurre la fase esplorativa della ricerca ho immaginato una traccia semistrutturata di intervista. La traccia si ispira ai contributi teorici sopra indicati ed è suddivisa in tre parti: una prima parte più generale orientata a comprendere i percorsi conoscitivi degli assistenti sociali, una seconda relativa ad elementi specifici delle ipotesi conoscitive di tipo abduttivo e la terza improntata alla dialogicità. Per l’individuazione dei soggetti a cui somministrare la traccia della ricerca ho preso in considerazione il criterio della saturazione cognitiva. Nella ricerca ho intervistato n. 40 assistenti sociali in servizio presso il Ministero della Giustizia, le Aziende ULSS, i Comuni. I soggetti intervistati sono stati considerati in ragione dell’appartenenza a differenti contesti organizzativi (sanitario, penale, amministrativo). Nelle interviste ho tenuto conto dell’anzianità di servizio, cercando di rappresentare le differenti fasi. In particolare ho suddiviso gli operatori in tre fasi: meno di 10 anni di anzianità, dagli 11 ai 20 anni di anzianità, più di 20 anni di anzianità. Anche se è da rilevare che in alcuni servizi la fascia più giovane di anzianità si va affievolendo. Le interviste sono state realizzate prevalentemente in Veneto ma alcune sono state svolte fuori regione (Friuli Venezia Giulia e Lombardia). Ho cercato di includere nell’insieme di riferimento referenti del genere maschile. Il testo dell’intervista è stato considerato nella sua interezza, domande e risposte sono strettamente integrate, per cui nel testo vi è la riproduzione integrale anche delle domande dell’intervistatore, la riproduzione delle pause, le sospensioni perché danno il tono e la fluidità della comunicazione. Per l’analisi dei testi mi sono riferita alle modalità proprie dell’analisi tematica ermeneutica (pensiero intervistati, loro categorizzazione del mondo) costruendo le categorie di interpretazione di un collettivo di soggetti. Dagli elementi emersi dalle interviste in profondità ho tentato di abbozzare differenti percorsi conoscitivi che nascono dalla pratica professionale degli assistenti sociali e che ho ricondotto a tre tipologie conoscitive differenti tenendo conto degli aspetti significativi di apprendimento dall’esperienza che presento nel quarto capitolo. Gli stili conoscitivi delineati consentono di delineare approcci conoscitivi distinti: dialettico-argomentativo, analitico-selettivo e saggio-pratico. Nell’ultimo capitolo riprendo alcuni spunti teorici dei primi capitoli alla luce delle evidenze pratiche.
  • XXIII Ciclo

Date

  • 2011-03-31T14:04:20Z
  • 2011-03-31T14:04:20Z
  • 2011-03-25
  • 1970

Type

  • Doctoral Thesis

Format

  • application/pdf

Identifier