• Ecologia trofica del microzooplancton
  • Blason, Claudia

Subject

  • Microzooplancton, Mediterraneo orientale, progetto V.E.C.T.O.R., Ostreopsis, Antartide
  • METODOLOGIE DI BIOMONITORAGGIO DELL'ALTERAZIONE AMBIENTALE
  • BIO/07 ECOLOGIA

Description

  • 2009/2010
  • Il microzooplancton (organismi eterotrofi di dimensioni comprese tra 10 e 200 μm) svolge un ruolo fondamentale nei trasferimenti energetici dai produttori primari ai successivi anelli della rete trofica; è il principale predatore del nanoplancton (2-10 µm) e in misura minore (riducendo l’attività di predazione dei nanoflagellati sulla medesima risorsa), predatore del picoplancton (0.2-2 µm ) nel circuito microbico, nonché consumatore di microfitoplancton di piccole dimensioni e preda del mesozooplancton nella rete trofica classica o“del pascolo”. Pertanto, il microzooplancton rappresenta l’anello di congiunzione tra i due sistemi. Lo scopo della mia ricerca è stato finalizzato a quantificare il flusso di carbonio attraverso la comunità microplanctonica, tramite la predazione del microzooplancton sul comparto microfito-, nano- e picoplanctonico sia autotrofo che eterotrofo; a verificare la selezione delle prede da parte della componente eterotrofa, nonché a quantificare la produzione secondaria (tassi di crescita) del popolamento dei predatori. I campioni analizzati, si riferiscono a quattro stazioni del Mediterraneo orientale V6, V7, Viera e V10 campionate in superficie (-5 metri) durante la campagna oceanografica denominata “Transmediterranean cruise”(estate 2007) che rientra nel progetto V.E.C.T.O.R. (CoNISMa) i cui obiettivi sono volti ad approfondire le conoscenze relative agli impatti dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino mediterraneo focalizzando l’attenzione su processi sedimentari, fisici, cicli biogeochimici (ruolo del bacino Mediterraneo nel ciclo globale del carbonio) nonché sulla biodiversità. Per questo lavoro di ricerca, volto a valutare l’impatto della predazione del microzooplancton su un’ampia varietà di prede, si è scelto di utilizzare il metodo delle diluizioni introdotto nel 1982 da Landry ed Hasset, successivamente modificato da Landry et al. (1995) poiché può ormai essere considerato un protocollo standard, che, a differenza delle altre tecniche proposte, è estremamente semplice e non prevede alcuna manipolazione degli organismi. Mediante questo protocollo, si ottiene sia il tasso di crescita delle prede (k), che quello di mortalità delle prede indotta da predazione (g). Il tasso di predazione viene stimato attraverso la determinazione del tasso di crescita della preda in una serie di contenitori nei quali l’acqua campionata in una stazione viene diluita con acqua filtrata proveniente dalla medesima stazione. Le successive diluizioni riducono la probabilità d’incontro tra preda e predatore. Il tasso di crescita si ottiene estrapolando la crescita al 100% di diluizione (tasso di crescita in assenza di predatori); il tasso di predazione corrisponde alla pendenza della retta di regressione tra la crescita delle prede e le frazioni d’acqua non filtrata. Il metodo si basa sul presupposto che le prede abbiano un tasso di crescita costante, che non ci sia limitazione di nutrienti, che il tasso di predazione da parte dei consumatori sia direttamente proporzionale alla densità delle prede e che la variazione della densità delle prede in un determinato periodo di tempo sia rappresentata dall’equazione esponenziale: Ct = C0*e (k-g)*t; dove, Ct è la biomassa alla fine dell’incubazione, C0 è la biomassa all’inizio dell’incubazione, k il tasso di crescita delle prede, g il tasso di mortalità dovuto alla predazione e t il periodo di incubazione (24 ore). I campionamenti d’acqua di mare per gli esperimenti di diluizione, sono stati effettuati mediante rosette dotata di bottiglie Niskin; l’acqua di mare (100 litri per stazione) è stata filtrata su un retino da 200 µm per eliminare gli eventuali predatori di taglia superiore (mesozooplancton). L’acqua così ottenuta, è stata diluita con acqua di mare proveniente dalla medesima stazione e filtrata mediante pompa peristaltica su membrana idrofila di PFTE Millipore con porosità pari a 0.22 m allo scopo di ottenere acqua marina priva di organismi. Per valutare l’impatto di predazione del microzooplancton sulle prede, si è scelto di allestire per ogni stazione quattro diluizioni nelle seguenti proporzioni: 100%, 80%, 50%, 20%, in tre repliche ognuna al C0 e al C24; si sono aggiunte inoltre tre bottiglie (100% C48) per verificare la crescita dei predatori (produzione secondaria). La serie dei campioni è stata preparata al C0 e al C24 per tutti i quattro parametri: microzoo-, microfito-, nano-, picoplancton. Sono stati aggiunti nutrienti nella misura di 5 μM NaN03 e 1 μM KH2P04, per ogni bottiglia di incubazione al fine di evitare che la crescita fitoplanctonica fosse inibita da carenza di qualche nutriente. Tutte le bottiglie sono state messe ad incubare per 24 ore (produzione secondaria 48 ore) in vasche poste sul ponte principale dell’imbarcazione nelle quali è stato mantenuto un flusso costante di acqua di mare superficiale per garantire condizioni ambientali il più possibile prossime a quelle naturali. All’inizio di ogni esperimento sono state prelevate tre repliche per ciascuna diluizione (100%, 80%, 50% e 20%) ed immediatamente fissate in formaldeide neutralizzata alla concentrazione finale del 2%; alla fine dell’incubazione sono state fissate tre repliche per ciascuna diluizione secondo le medesime modalità. I campioni di nano plancton sono stati conservati in gluteraldeide all’1% e mantenuti al buio in frigorifero alla temperatura di + 5 ºC. Sia la formalina che la gluteraldeide sono state prefiltrate mediante filtri a siringa (0.20 μm) per togliere eventuali impurità. In laboratorio, sono stati filtrati mediante rampa di filtrazione (depressione compresa tra 0.2-0.3 atm.) i campioni di pico- e nanoplancton (da un volume iniziale rispettivamente di 50 ml e 250 ml per replica). Per il comparto batterico sono stati utilizzati filtri NTG neri con porosità pari a 0.2 μm e sottofiltri Millipore bianchi da 0.45 μm mentre per il nanoplancton, filtri NTG neri da 0.8 μm e sottofiltri Millipore bianchi da 1.2 μm. Il pico- e il nanoplancton sono stati inizialmente colorati con una soluzione di DAPI (1mg ml-1) per ottenere una concentrazione finale di 1 μl ml-1. Al fine di consentire la formazione del complesso DAPI-DNA il campione è stato riposto al buio per 15 minuti. Al termine di questo procedimento, tutti i campioni sono stati filtrati secondo volumi crescenti all’aumentare delle diluizioni. Si è deciso di allestire nove repliche (T0 e T24) per il picoplancton eterotrofo e tre repliche (T0 e T24) rispettivamente per la frazione autotrofa del picoplancton e per il nanoplancton. Tutti i filtri sono stati posti su vetrini e mantenuti in freezer alla temperatura di -20° C fino al momento dell’analisi. Il conteggio del picoplancton e del nanoplancton è stato condotto utilizzando un microscopio ad epifluorescenza Olympus BX 60 F5, dotato di lampada a vapori di mercurio (100 W) e obiettivo a immersione ad olio con un ingrandimento finale di 1000x. La componente autotrofa del picoplancton, è stata osservata in luce blu (450-490 nm) e in campi casuali sul filtro mentre per quella eterotrofa si è utilizzato l’illuminazione a raggi UV (365nm) ed il conteggio è avvenuto all’interno di un reticolo denominato “Patterson”. Sono state contate 200 cellule per il comparto eterotrofo e almeno 100 per quello autotrofo. Non è stato possibile distinguere il nanoplancton in frazione auto- eterotrofa per l’eccessiva perdita di autofluorescenza della clorofilla nella frazione autotrofa. Il comparto nanoplanctonico è stato suddiviso in tre classi dimensionali: < 3 μm, 3-5 μm e >5 μm. In fase di elaborazione dei dati, sia per il pico- che per il nanoplancton, è stata estrapolata la quantità di cellule per litro e questa quantità è stata successivamente convertita in biomassa di carbonio utilizzando specifici fattori di conversione trovati in letteratura. I campioni di microfito- e microzooplancton sono stati preconcentrati da un volume iniziale di ~ 2 L a ~ 200 ml. Di questi, 100 ml sono stati sedimentati per 72 ore in apposite colonnine di sedimentazione secondo il metodo proposto da Uthermöhl (1958). L’analisi quali-quantitativa di entrambi i comparti microplanctonici è avvenuta al microscopio rovesciato Leitz Labovert con un ingrandimento finale di 320X. Il conteggio del comparto microplanctonico è avvenuto nella stessa camera di sedimentazione, con l’unica differenza che la frazione autotrofa veniva osservata su metà camera mentre quella eterotrofa sulla camera intera. Per la significatività dei dati riguardanti il microfitoplancton, era necessario conteggiare almeno 100 individui per replica per ognuno dei gruppi presenti. Il numero degli individui conteggiato è stato convertito in cellule per litro, mentre la biomassa di carbonio è stata stimata partendo dal biovolume determinato mediante misurazione delle dimensioni lineari delle cellule che sono state associate a figure geometriche standard. I biovolumi risultanti sono stati poi trasformati in valori di carbonio organico usando fattori di conversione specifici trovati in letteratura. Per quel che riguarda la frazione microfitoplanctonica, nei campioni che ho analizzato non ho conteggiato un numero significativo di organismi della stessa specie tale da permettermi di procedere ad una elaborazione dei dati. Pertanto mi sono limitata a valutare la predazione del microzooplancton sul comparto pico e nanoplanctonico. Dall’elaborazione dei dati iniziali (C0) di pico- e nanoplancton, si evince che alle rispettive diluizioni di acqua corrisponde un’effettiva diluizione degli organismi, il che significa che gli esperimenti sono stati allestiti correttamente. I dati elaborati, relativi all’impatto di predazione sul comparto batterico sono stati presentati in occasione del XVIII Congresso S.It.E. (Società Italiana di Ecologia) svoltosi a Parma nel settembre 2008. I risultati ottenuti evidenziano che la biomassa dei batteri eterotrofi in Mediterraneo orientale è piuttosto costante ~ 6 μgCL-1 e 3 x 108 cell L-1. In tutti gli esperimenti si osserva mortalità indotta da predazione con tassi d’ingestione piuttosto omogenei con valori che vanno dai 9.5 μgCL-1d-1 nelle stazioni V6 e V7 agli 11.8 μgCL-1d-1 di Viera e 13.06 μgCL-1d-1 di V10. La frazione autotrofa al contrario, registra valori di biomassa molto bassi ~0.5 μgCL-1 e 3 x 106 cell L-1. Non si verifica predazione sul comparto autotrofo. Relativamente al comparto eterotrofo, anche se si verifica la predazione, il tasso di crescita dei batteri (k) supera il tasso di mortalità indotta da predazione (g) indicando dunque che nel bacino orientale i predatori non sono in grado di controllare la crescita delle prede. Si è proceduto con l’elaborazione dei dati di nanoplancton, per il quale si sono registrate biomasse più basse rispetto a quelle picoplanctoniche, ~ 4 μgCl-1. Si è verificata attività di predazione solamente in tre stazioni su quattro. La predazione è stata prevalentemente selettiva in quanto solo nella stazione V6 sono state predate tutte e tre le classi dimensionali, mentre nelle altre due stazioni sono state predate due delle tre classi dimensionali (< 3 μm e 3-5 μm in V7; 3-5 μm e > 5 μm in V10). I dati confermano che gli organismi di dimensioni > 5 μm, ossia quelli con valori di biomassa maggiori sono anche quelli associabili ai tassi di ingestione più alti. Nei casi in cui c’è predazione si verifica un’efficace top down control (g > k) da parte del microzooplancton nella stazione V6 per gli organismi > 5 μm, in V7 per quelli < 3 μm e in V10 per quelli compresi tra 3-5 μm e > 5 μm. Negli altri casi in cui si verifica predazione k > g, quindi non c’è controllo da parte dei predatori sulla crescita delle prede. Al Congresso dell’A.I.O.L. tenutosi a Venezia nel settembre 2009 sono stati presentati due ulteriori lavori: uno relativo alla “Composizione e abbondanza delle comunità microzooplanctoniche raccolte durante la campagna TransMed stimate con tre diversi metodi di raccolta e fissazione” ed un altro dal titolo: “Effetti sinergici ed antagonisti della predazione del microzooplancton e dei nanoflagellati sui procarioti autotrofi ed eterotrofi stimati sperimentalmente durante la crociera TransMed”. Nel primo lavoro è stata valutata la composizione della comunità microzooplanctonica in acqua raccolta e fissata con modalità diverse. Durante la crociera infatti in superficie sono stati raccolti volumi di 500 ml, fissati in soluzione di Lugol al 2%; volumi pari a 2L, in tre repliche prefiltrate su 200 μm e fissate con formalina al 2%; volumi pari a 5L, concentrati su maglia da 10 μm fino ad arrivare ad un volume finale di 250 ml e fissati con formalina al 2%. Volumi pari a 100 ml dei campioni sopraccitati sono stati messi a sedimentare in colonnine di sedimentazione prima dell’osservazione al microscopio. L’analisi della composizione dei popolamenti in superficie, al Deep Chlorophyll Maximum (DCM), a 1500 m e al fondo indica un aumento delle abbondanze al DCM. I campioni fissati in Lugol sovrastimano le abbondanze; ciò è dovuto ai bassi volumi di partenza. I campioni di 5L concentrati sono quelli più rappresentativi in termini di ricchezza ma tendono a sottostimare in termini di abbondanza. Le 3 repliche di 2L sono risultate molto omogenee tra loro sia in termini di abbondanza che di composizione e i risultati ottenuti dall’analisi di questi campioni evidenziano che questo è il miglior compromesso per l’ottenimento di dati quanto più vicini alla situazione realmente presente in natura. Nel secondo lavoro sono stati stimati assieme ai tassi di predazione del microzooplancton anche quelli dei nanoflagellati eterotrofi (HNF) sui procarioti, autotrofi ed eterotrofi, diretti e indiretti attraverso la predazione del microzooplancton sul nanoplancton, ottenendo i tassi specifici di mortalità delle loro prede. Dall’analisi dei tassi di ingestione relativi agli esperimenti di predazione da parte del microzooplancton sul nanoplancton e sul picoplancton, e di predazione del solo nanoplancton sul picoplancton sono emersi quattro possibili modelli presenti nel bacino del Mediterraneo: 1) la pressione di predazione esercitata dai NF sul picoplancton eterotrofo viene inibita dal controllo esercitato dal microzooplancton sui NF con conseguente assenza di mortalità picoplanctonica; 2) il controllo esercitato dal microzooplancton sui NF è meno efficace con conseguente dimezzamento dei tassi di ingestione; 3) i tassi di ingestione sono simili, ma poiché il microzooplancton preda anche sui NF si può ipotizzare che la predazione sul picoplancton sia esclusivamente a carico del micro zooplancton; 4) si verifica predazione indipendente del microzooplancton e del nanoplancton sul comparto picoplanctonico, in questo caso si sommano i tassi di ingestione. L’analisi dei coefficienti k e g, ha evidenziato che nel Mediterraneo occidentale g > k, e pertanto c’è un efficace top-down control sulla crescita delle prede; nel Mediterraneo orientale g > k relativamente alla predazione sulla frazione nanoplanctonica, mentre k > g per il comparto picoplanctonico e quindi il microzooplancton non controlla la crescita batterica. Relativamente all’esperimento di predazione del solo nanoplancton sul picoplancton i valori di g e k non sembrano in alcun modo correlati all’area di campionamento. Una situazione particolare si verifica in VA dove effettivamente c’è un controllo sulla crescita batterica ma c’è un valore di k negativo possibile indice di mortalità indotta non solo da predazione ma anche da lisi virale. In collaborazione con il gruppo di ricerca del dipartimento di scienze marine dell’Università delle Marche al congresso CIESM (Venezia 2010) è stato presentato un lavoro dal titolo “Virus-Prokaryote-Nanoflagellate-Microzooplankton interactions in surface water of the Mediterranean sea”. I predatori, a causa dell’elevata oligotrofia del bacino orientale del Mediterraneo, particolarmente durante il periodo estivo, sono risultati scarsi. I valori di biomassa si aggirano mediamente intorno a 0.60 μgCL-1 che corrispondono a ~ 1.30 x 102 cell L-1 . Si ha una netta dominanza di Ciliati aloricati di piccole dimensioni (20-40 μm), caratterizzati in massima parte dai generi Strombidium, Laboea e dai nanociliati (< 20 μm); da Dinoflagellati eterotrofi ben rappresentati dai generi Gymnodinium (<20 μm) e Protoperidinium. Tra i tintinnidi i più presenti appartengono al genere Rhabdonella, Eutintinnus e Tintinnopsis. La crescita del popolamento microzooplanctonico si è registrata in tutte le stazioni ma solo per alcuni dei gruppi presenti: Tintinnidi, Dinoflagellati eterotrofi, altri protozoi rappresentati in massima parte dai foraminiferi e micrometazoi. In conclusione, l’attività di predazione del microzooplancton è altamente selettiva e dipende dalla composizione delle prede nonché dalla struttura della comunità dei predatori. In questo studio, è emerso come la frazione che contribuisce in massima parte al flusso di carbonio è rappresentata da organismi del comparto microbico i quali grazie al notevole rapporto tra superficie e volume cellulare, sono in grado di assimilare al meglio i pochi nutrienti presenti nel bacino orientale del Mediterraneo nei mesi estivi. In modo più specifico l’attività di predazione più intensa è sicuramente rivolta al picoplancton eterotrofo e solo in misura minore alle prede nanoplanctoniche. L’inverno precedente la campagna oceanografica aveva registrato temperature sopra alla norma invernale, con conseguente scarso mescolamento della colonna d’acqua e ridotti nutrienti. Questo ha accentuato l’estrema oligotrofia estiva con gradiente crescente ovest-est al momento del campionamento. In queste condizioni, il “microbial loop” che si basa su processi rigenerativi, è stato particolarmente efficiente; la sostanza organica disciolta ha alimentato il circuito microbico, incrementando in questo modo la produzione e la biomassa batterica che è risultata la maggior risorsa di carbonio per il microzooplancton. Il secondo capitolo della mia tesi è relativo al progetto di ricerca “Ostreopsis ovata e Ostreopsis spp. nuovi rischi di tossicità microalgale nei mari italiani”. Gli obiettivi sono stati quelli di identificare gli eventuali trasferimenti di Ostreopsis ovata lungo la rete trofica pelagica. Ostreopsis ovata è un’alga microscopica unicellulare che vive comunemente nelle calde acque dei mari tropicali. E’ un’alga epifita che vive preferibilmente sulle alghe rosse e brune ed appartiene al gruppo dei dinoflagellati. Condizioni climatiche ottimali hanno consentito a quest’alga di svilupparsi alle nostre latitudini. Al microscopio le cellule di Ostreopsis ovata hanno una forma a goccia compressa in senso antero posteriore e sono formate da placche di cellulosa che formano due teche di uguali dimensioni. Nel mese di giugno 2009 è stata allestita una serie di esperimenti di diluizione e di grazing con acqua di mare raccolta al largo della stazione biologica di Pirano (Slo). L’acqua raccolta è stata arricchita con coltura di Ostreopsis per verificare l’eventuale predazione da parte del microzooplancton e del mesozooplancton nei suoi confronti. Un secondo esperimento di solo grazing è stato condotto nel mese di settembre 2009 a Pirano campionando acqua di mare raccolta al largo della stazione biologica di Pirano, ed arricchendola in O. ovata come nel primo esperimento. Per valutare l’efficienza della predazione del microzooplancton sulla componente microfitoplanctonica ed in particolare su Ostreopsis ovata si è utilizzato il metodo delle diluizioni proposto da Landry & Hassett (1982) successivamente modificato da Landry et al., (1995) e Gallegos (1989). L’ acqua di mare superficiale raccolta è stata in parte filtrata su retino da 200 μm per eliminare gli organismi di taglia superiore, ed in parte filtrata con pompa peristaltica su filtro a 0.22 μm. Sono state così allestite le bottiglie da 2 L nelle varie diluizioni (100%, 80%, 50%, 10%) in tre repliche ciascuna, in due serie (T0 e T24). Le bottiglie sono state arricchite con coltura di Ostreopsis ovata a concentrazione nota (500.000 cell mL-1) pari a 10 ml per litro al 100% ed il resto in proporzioni adeguate per le varie diluizioni. Il T0 è stato immediatamente fissato con formalina neutralizzata alla concentrazione finale del 2%, ed allo stesso modo sono stati fissati i campioni alla fine dell’incubazione. Parallelamente a questo esperimento è stato allestito un esperimento di grazing per valutare la predazione da parte del mesozooplancton nei confronti di Ostreopsis. Il mesozooplancton è stato raccolto con una rete WP da 200 μm. Gli organismi vivi sono stati messi in un contenitore da 5 L e mantenuti al freddo. Si sono quindi selezionati gli organismi rappresentativi della comunità mesozooplanctonica al momento del prelievo costituiti da Acartia clausi prevalentemente in stadi giovanili. Sono stati aggiunti circa 20 organismi vivi nelle 3 bottiglie (100%) arricchite con coltura di Ostreopsis. Queste bottiglie sono state messe ad incubare per 24 ore in mare e poi fissate come sopra. Nel mese di settembre 2009 si è allestito a Pirano un esperimento di solo grazing seguendo lo stesso protocollo utilizzato nel mese di giugno. L’unica differenza sta nel fatto che in questo periodo dell’anno la comunità mesozooplanctonica dominante era costituita da Centropages. Sono state allestite 9 bottiglie da 2L con acqua di mare filtrata su 200 μm così suddivise: 3 bottiglie sono state arricchite con 20 ml di coltura di Ostreopsis a concentrazione nota e poi immediatamente fissate con formalina (T0); 3 bottiglie in Nalgene sono state arricchite allo stesso modo e poi sono state messe ad incubare (T24 bianco); 3 bottiglie sono state arricchite di coltura di Ostreopsis come le precedenti, poi sono stati aggiunti circa 12-15 organismi planctonici vitali del genere Centropages e sono state messe ad incubare in mare (T24 con copepodi). Al termine dell’incubazione tutti gli organismi sono stati fissati come da protocollo. In laboratorio l’analisi quali-quantitativa dei popolamenti fitoplanctonici è stata condotta su aliquote di 50 ml di campione preventivamente preconcentrato per 48 ore e messe a sedimentare per 30 ore in colonnine di sedimentazione. Il campione è stato conteggiato al microscopio rovesciato Olympus a 200X. I campioni di microzooplancton sono stati preparati allo stesso modo dei precedenti e conteggiati con microscopio invertito Labovert con ingrandimento 320X. L’analisi del popolamento microzooplanctonico al T0 e al T24 ha permesso di verificarne la crescita durante l’incubazione. Si registra durante l’incubazione una riduzione dei ciliati non loricati e degli altri protozoi, mentre aumenta sensibilmente la biomassa dei ciliati loricati. L’analisi delle repliche contenenti anche il mesozooplancton alla fine dell’incubazione (T24) ha permesso di rilevare un aumento di biomassa dei ciliati non loricati e dei dinoflagellati. Dopo aver verificato la bontà delle diluizioni sui campioni al T0 ho analizzato i campioni del T24 calcolando così il coefficiente di crescita apparente per ogni diluizione. Le specie soggette a predazione sono rappresentate da Chaetoceros decipiens, Dactyliosolen fragilissimus e Cerataulina pelagica, mentre non si osserva alcuna relazione significativa nei confronti della microalga Ostreopsis. I risultati relativi a questo esperimento hanno evidenziato che non c’è predazione da parte del microzooplancton nei confronti di Ostreopsis ovata La specie viene evidentemente selezionata negativamente ed il microzooplancton, costituito prevalentemente da piccoli dinoflagellati si nutre di altre specie fitoplanctoniche di dimensioni più ridotte. Nell’esperimento di grazing eseguito nel settembre 2009 si è voluta verificare la predazione da parte del mesozooplancton sulla microalga. Il protocollo seguito per l’analisi dei campioni era analogo a quello relativo all’esperimento precedente. Dal conteggio dei campioni in 3 repliche al T0 al T24 bianco e T24 con i copepodi, si è evidenziata una variazione in termini di biomassa di Ostreopsis. Si parte da una concentrazione iniziale pari a 1.92*108 pgCL-1 e si osserva un leggero decremento di biomassa nei campioni messi ad incubare senza copepodi. La biomassa di Ostreopsis ovata aumenta ad un valore di 3.65*108 pgCL-1 nei campioni in cui si è aggiunto il mesozooplancton. Questi esperimenti rappresentano uno dei primi studi volti a determinare la mortalità della componente microfitoplantonica (Ostreopsis ovata) indotta dalla predazione del micro zooplancton per identificare l’eventuale trasferimento lungo la rete trofica pelagica dell’alga e di conseguenza della sua tossina. Non si trovano in letteratura, al momento, dati paragonabili a quelli ricavati in questo lavoro. I due esperimenti di grazing hanno dato risultati discordanti: nel primo caso Ostreopsis viene predata, nel secondo caso non si verifica alcun decremento in presenza dei copepodi. Tali discordanze potrebbero essere correlate alle diverse specie di predatori utilizzate nei due esperimenti: copepoditi di Acartia in giugno e Centropages a settembre. Purtroppo in questi esperimenti si devono utilizzare i copepodi presenti in maniera dominante al momento del campionamento. Gli organismi inoltre devono rimanere vitali e devono essere inseriti nelle bottiglie da incubazione in numero tale da garantire che gli effetti della predazione sul popolamento naturale, arricchito con coltura di Ostreopsis, siano statisticamente significativi. A conclusione di questo primo studio si è svolto nel mese di aprile 2010 un ultimo esperimento nel quale è stata utilizzata soltanto coltura di Ostreopsis. E’ stato fatto un campionamento di mesozooplancton raccolto con rete WP2 mediante retinata orizzontale della durata di circa 10 min. coprendo circa 400 m di superficie nel Golfo di Trieste. Il mesozooplancton raccolto è stato ben distribuito in due barattoli da 4 L aggiungendo acqua di mare allo scopo di mantenere gli organismi vitali. I campioni sono stati mantenuti al fresco ed immediatamente portati in laboratorio per l’allestimento dell’esperimento. La coltura di Ostreopsis è stata fornita dal laboratorio OGS (dott.ssa Marina Monti). In laboratorio, attraverso l’osservazione al microscopio binoculare Leica MZ6 ad ingrandimento pari a 40X sono stati selezionati gli organismi mesozooplanctonici più rappresentativi della comunità presente al momento del campionamento (copepoditi di calanoidi Centropages, Acartia e Corycaeus). 50 ml della coltura di Ostreopsis sono stati messi in 12 piccoli cristallizzatori in vetro. In ognuno di questi sono stati aggiunti gli organismi selezionati in numero di 2-4 al massimo. I cristallizzatori sono stati messi su un piano basculante al fine di mantenere la microalga in sospensione per circa 3 ore. Alla fine delle 3 ore da ogni campione sono stati recuperati i copepodi che sono stati sciacquati con acqua distillata, asciugati e posti a -20° C in attesa dell’analisi che è stata condotta presso il laboratorio di genetica dell’Università di Trieste allo scopo di predisporre una sonda per identificare il DNA di Ostreopsis ovata all’interno dei copepodi. L’ultimo capitolo della mia tesi è relativo all’elaborazione di una serie di dati derivanti da 8 esperimenti volti a studiare il ruolo trofico del microzooplancton nel Mare di Ross (Antartide). I dati raccolti derivano dall’analisi di campioni di acqua di mare raccolta durante varie campagne Antartiche, in diverse zone nel Mare di Ross, così schematizzati: Esp.1 anno 1997 al largo del Mare di Ross; Esp. 2 anno 1997 polynya di Baia Terra Nova; Esp. 3 anno 2000/01 polynya di Baia Terra Nova; Esp. 4 e 5 anno 2000/01 al largo del Mare di Ross; Esp.6 anno 2003 polynya di Baia Terra Nova; Esp. 7 anno 2003 Mare di Ross; Esp. 8 anno 2005/06 polynya di Baia Terra Nova. I dati relativi alla predazione del microzooplancton sul comparto fitoplanctonico sono stati ottenuti applicando il metodo delle diluizioni come precedentemente descritto. Il microzooplancton gioca un ruolo importante nel microbial-loop come predatore principale del nano e picoplancton e nella catena del pascolo come predatore di fitoplancton di cui è capace di consumare anche il 100% della produzione giornaliera. Rappresenta inoltre il principale veicolo di trasferimento energetico dalla catena microbica a quella del pascolo in quanto viene attivamente predato dal mesozooplancton. Questo modello è applicabile anche alle acque antartiche; molti studi infatti hanno identificato nei predatori microeterotrofi la chiave del sistema marino antartico. La predazione selettiva esercitata dal microzooplancton controlla diversi elementi della comunità fitoplanctonica. I produttori pico e nanoplanctonici spesso dominano gli stadi successivi del bloom fitoplanctonico antartico contando per più dell’80-90% della produzione totale autotrofa. L’elaborazione dei dati ha evidenziato una generale predazione sul fitoplancton totale negli Esp. 3-4-5-7. Negli altri esperimenti non si verifica predazione sul fitoplancton totale. Nell’esp. 3 si verifica predazione anche sul genere Fragilariopsis, che risulta essere il più abbondante. In questo caso il tasso di ingestione risulta essere piuttosto alto ~ μgCL-1d-1. Nell’Esp. 4 c’è predazione sui generi Corethron e Pseudonitzschia. La predazione sul comparto nanoplanctonico è presente solamente nell’Esp.7. Negli esperimenti 3 e 4, dove si verifica predazione, il valore di k > g indica che nonostante ci sia predazione, il microzooplancton non riesce a controllare efficacemente la crescita delle prede. Nell’Esp. 4 invece g > k indica un efficace top down control sulla crescita delle prede. Un aspetto presente in quasi tutti gli esperimenti è dato da una condizione di saturazione al 100% della crescita apparente. L’assunzione critica all’approccio delle diluizioni è che i predatori consumano le loro prede in proporzione diretta rispetto alla loro densità e che il livello naturale della disponibilità di cibo è tale che i tassi di ingestione di questi organismi non siano in saturazione. I campionamenti effettuati in Antartide sono avvenuti in periodi di fioritura algale e quindi di abbondanza di prede. In questo caso, con concentrazioni di cibo molto alte, ogni predatore mangerebbe un numero costante di prede indifferentemente dall’effetto delle diluizioni sulla densità delle prede. Quando si analizza l’acqua tal quale le abbondanze fitoplanctoniche sono talmente alte che i predatori non riescono a consumare tutto il fitoplancton disponibile, la correlazione tra biomassa e predazione non è più lineare e si osserva una condizione di saturazione. I risultati di questi esperimenti sono serviti a dare un contributo allo studio globale dei flussi di carbonio all’interno del sistema pelagico in aree antartiche utilizzando il protocollo delle diluzioni. Questo protocollo, ormai collaudato e di semplice allestimento, non prevede alcuna manipolazione degli organismi e soprattutto, come dimostrato in questo lavoro di tesi, può essere utilizzato con successo in ambienti diversi, da quelli temperati a quelli più estremi come l’Antartide. Si è dimostrato inoltre valido strumento per identificare i trasferimenti di alghe tossiche (Ostreopsis ovata) o delle sole tossine lungo la rete trofica pelagica allo scopo di monitorare i rischi della tossicità algale nei mari italiani.
  • XXIII Ciclo
  • 1965

Date

  • 2011-05-11T09:04:04Z
  • 2011-05-11T09:04:04Z
  • 2011-04-22

Type

  • Doctoral Thesis

Format

  • application/pdf

Identifier