• L'APPAR(TEN)ENZA INGANNA. Le barriere mentali, i pregiudizi, lo sguardo verso l'altro. Un percorso sull'integrazione dalle basi teoriche ad un caso empirico.
  • Marchetti, Stefania

Subject

  • processi culturali
  • immigrazione
  • integrazione
  • identità
  • alterità
  • POLITICHE TRANSFRONTALIERE PER LA VITA QUOTIDIANA
  • SPS/08 SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI E COMUNICATIVI

Description

  • 2010/2011
  • Nella sua essenza, l’uomo nasce migrante. Che ci si riferisca all'uomo in senso antropologico o in senso privato, ovvero come singolo individuo, una caratteristica fondante rimane sempre la sua mobilità. Anche il parto, in un certo senso, è una migrazione: dal ventre della madre si passa al ventre della terra. L'evoluzione antropologica dell'uomo, la sua storia in senso evoluzionista stretto, racconta che dall'Africa l'uomo si è spostato ed è migrato in tutti gli altri continenti. In qualunque modo lo si voglia declinare – mobilità, spostamento, migrazione, ecc. – il viaggio da sempre accompagna l'umanità. Perché allora le migrazioni costituiscono nella contemporaneità un costante punto di discussione nei diversi livelli della scala sociale (legislativo, politico, demografico, ecc)? Le strumentalizzazioni di migrazione e integrazione, infatti, sono una spia piuttosto evidente della generale confusione e dello scarso approfondimento delle tematiche; inoltre, i due fenomeni spesso sono utilizzati come capri espiatori per spiegare la crisi economica e la crescita della disoccupazione in Italia. Spesso si è confusi anche sulle terminologie usate: immigrato, emigrato, extra-comunitario, straniero... Sembrano termini intercambiabili, in realtà definiscono e rimandano a realtà differenti, ognuna con diverse e precise specificità, nonché con valenze semantiche differenti. Inoltre, la società italiana, terra per eccellenza di emigrati, sembra appunto essersi dimenticata di questo suo recente passato, avanzando modelli di società chiusa che stigmatizzano l'immigrato e creano un clima di tensione, disagio e incomprensione sociale. In tale contesto, entra in crisi anche il concetto di identità. Essa, infatti, appare sempre più come un bisogno, come l'esito di una ricerca, che l'immigrato (ma il discorso può essere esteso all'individuo in generale) compie all'interno e all'esterno di sé. É innegabile che ciascuno cerchi una propria dimensione dell'io, e questa risultante può derivare soltanto da una doppia ricerca del sé, che sia parallela, ma che si intersechi al fine di dimostrare la coerenza del percorso fatto. Ha ancora senso parlare di identità? Se la si considera in termini monolitici, ovvero come statica e immutabile, certamente il concetto sembra superato. La fluidità della società caratterizza anche la fluidità dell’identità: potenzialmente, si può scambiare tutto ciò che caratterizza l’identità, assumendo anche posizioni diametralmente opposte, e alle quali si arriva proprio con questo continuo scambio, con questa reciprocità di fondo che dovrebbe caratterizzare la società. Non solo si prova a mettersi nei panni dell'Altro, ma dall'Altro si trattiene ciò che si reputa opportuno “rilasciando” quanto non riesce a cambiare assieme alla società, che è in continuo divenire. Questa riflessione è alla base del nuovo concetto di identità osmotica. Essere pronti ad uno scambio con l’Altro, però, introduce necessariamente il concetto di tolleranza. Non sembra possibile affrontare il discorso dell'Alterità non portando all'attenzione questo tema. Da sempre, il confronto con chi è diverso ha fatto aprire il dibattito "Accetto o non accetto questa posizione/persona?", sia riferito al piano individuale, comunitario, sociale sia - nelle politiche - al piano istituzionale. Nel corso della storia, la tolleranza si è mossa di pari passo con l'evoluzione dell'umanità. Si sono alternati momenti di grande respiro e apertura a momenti bui di involuzione ed ostracismo, se non di ghettizzazione. Nella società moderna, però, anche questo termine è ormai superato: risulta più opportuno parlare di accettazione. Essa non può essere vista come un sinonimo di rassegnazione, ma esattamente l'opposto: l'accettazione è un modo positivo, attivo (è la tolleranza che è passiva!), e pragmatico di pensare e di agire, che - come l’etimologia suggerisce - cattura qualcosa dell’Altro e lo interiorizza, lo fa proprio, in uno spirito di condivisione e di costruzione di nuove esperienze, atteggiamenti e comportamenti. Questi prodromi portano al vero tema oggetto della presente ricerca: l’integrazione. Il termine, spesso abusato, non ha un’attuazione semplice: Cosa significa essere davvero parte integrante di una società? Spesso si confonde l’integrazione con l’empatia, ma ancor più frequentemente, si associa l’integrazione all’occupazione del migrante. Il lavoro, alla base del progetto migratorio, diviene l’unico metro su cui misurare quanto la persona si senta integrata. Si deve procedere dando una definizione operativa del termine “integrazione”. Si giunge ad essere integrati attraverso vari stadi che riguardano altrettante aree (occupazionale, sociale, educativa, ecc.). Non si può pensare di risolvere i problemi con la sola promulgazione di una legge, perché in questo modo si crea un divario sempre più grande tra Paesi paralleli: quello reale (sociale) e quello legale. Queste due direzioni devono lavorare insieme: se le leggi esprimono la volontà dello Stato in riferimento ad una materia specifica (in questo caso, l'immigrazione e l’integrazione), dall’altro lato la controparte sociale deve guadagnare un atteggiamento che dimostri lo sforzo di costruire una società integrata. Proprio seguendo questo framework teorico si è pensato ad progetto di integrazione nel settore sociale. Dopo una prima fase, in cui il migrante è, di solito, un giovane adulto maschio in cerca di occupazione, cambia il profilo del gruppo migrante: non ci sono solo uomini giovani, ma aumenta il numero di donne e bambini al loro seguito (spesso riunitisi grazie al ricongiungimento familiare), ed è proprio in questa nuova composizione migratoria che cresce il numero di richieste dei servizi. Queste considerazioni preliminari hanno trovato un’applicazione pratica quando la Provincia di Udine ha promosso il bando per il finanziamento di azioni afferenti ai servizi territoriali e sociali a favore della popolazione straniera immigrata per l’anno 2009. Le disposizioni del bando in oggetto prevedevano tre linee di intervento, una a favore dell’integrazione lavorativa, una a favore dell’integrazione sociale e una a favore della promozione della convivenza interculturale. Una volta stabilito che il settore di integrazione che si intendeva definire come area di intervento era quello afferente alla sfera socio-sanitaria, si è reputato che il modo migliore per poter promuovere l’integrazione potesse essere quello di istituire uno sportello che fosse competente in problemi o bisogni legati a tale sfera. L’obiettivo del progetto era, come già detto, quello di promuovere l’integrazione socio-sanitaria tra gli immigrati stranieri al fine di renderli parte integrata ed integrante del territorio. Un cittadino consapevole – e quindi autonomo, autosufficiente nell’individuazione delle risposte ai propri bisogni – è un cittadino emancipato, e pertanto integrato nel territorio. La prima fase progettuale di è svolta da gennaio a giugno 2010, ed ha coinvolto il Comune di Gemona del Friuli quale ente capofila e l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto Friuli” in qualità di partner. Nella pratica, il progetto ha previsto l’apertura di uno sportello informativo socio-sanitaria con sede, appunto, a Gemona del Friuli. La seconda fase del progetto, invece, ha coinvolto l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere (Anolf) dell’Alto Friuli, prevedendo sempre uno sportello informativo con sede a Gemona del Friuli ma con competenze più ampie, non solo legate all’area socio-sanitaria, come era emerso dalla valutazione ex post del primo progetto. Il bacino di riferimento, in questa fase, cambiava notevolmente: da una giurisdizione comunale si passava al Comprensorio Cisl “Alto Friuli”, comprendente ben 63 comuni. L’attività, anche in questo caso, ha coperto un arco temporale di sei mesi (gennaio-giugno 2011). Sia nel primo progetto che nel secondo, sono prevalentemente le donne quelle che si sono dimostrate più”attive” ed interessate all’iniziativa, ma si deve comunque segnalare una problematica relativa al territorio: riuscire ad intercettare gli immigrati. Per la stessa conformazione fisica (orografica) del territorio, oltre ai quattro nuclei principali del Comprensorio (Gemona del Friuli, San Daniele Del Friuli, Tarcento e Tolmezzo) il rimanente territorio è frammentato in piccoli comuni, di pochi abitanti e con bassa percentuale di immigrati, in territori prevalentemente di montagna. Ciononostante, un cenno allla provenienza degli utenti va fatto. Se nel primo progetto il contesto comunale è stato determinante, nel senso che praticamente la totalità degli immigrati aveva la residenza nel comune di Gemona del Friuli, nel secondo caso, invece, calano proprio i residenti gemonesi e aumentano gli extra-comunali, segno anche di una certa conoscibilità del progetto. L’integrazione appare, in ogni caso, ancora piuttosto difficoltosa per il territorio preso in esame: essa è ancora correlata soltanto al lavoro, e non si riesce ad individuare lo strumento migliore per poter proseguire l’azione integrativa sugli altri fronti, ed è proprio in questa direzione che si muove la nuova attività di ricerca. Mentre continua l’attività dello sportello Anolf (gennaio-giugno 2012), si stanno valutando altre strade ed altre politiche per l’immigrato da attuare, al fine di promuovere la conoscenza, il rispetto, l’accettazione dell’Altro che, magari, riuscirà a trasformare questo territorio, denominato “Alto Friuli”, nell’“Altro Friuli”.
  • XXIV Ciclo

Date

  • 2012-07-12T11:34:44Z
  • 2012-07-12T11:34:44Z
  • 2012-04-27
  • 1983

Type

  • Doctoral Thesis

Format

  • application/pdf

Identifier